Hamburger in provetta: la carne prodotta in laboratorio
Il primo hamburger prodotto in laboratorio, anzichè sui pascoli come nei bei tempi antichi, verrà presentato prossimamente in una conferenza scientifica a Londra.
Ci sono voluti anni e tanti specialisti per costruire gli oltre 20.000 “tasselli” di tessuto che lo compongono. Non ha grasso e il sapore ricorda vagamente quello “originale”. Con un costo netto di 250.000 euro è un piatto un pò caro, oltre che unico, al momento.
Il sogno di produrre carne in laboratorio inizia per la prima volta in un campo di prigionia giapponese, con il dottor Willem van Eelen, prigioniero alla fine della seconda guerra mondiale. Ad oggi solo pochi esemplari, tutti sogni finiti poi neol cassetto. Sette anni fa la Nasa confezionava un filetto di pesce ottenuto dalle cellule dei pesci rossi, mentre qualche anno prima si era provato con carne di tacchino, sempre con l’obiettivo di rifornire gli astronauti.
L’arrivo delle cellule staminali ha dato un nuovo impulso alla ricerca in questo senso, e le attività sono riprese.
Il dottor Mark Post, università di Maastricht, utilizza staminali di bovini adulti (in natura servono a riparare i danni subiti dai tessuti), immerse in un cultura alla quale vengono progressivamente sottratti gli alimenti. La cellula è stimolata a crescere e a riprodursi, e alla fine si ottiene una striscia fibrosa, primo elemento del futuro hamburger. Ma un hamburger richiede miliardi di queste cellule, e il prodotto finale del laboratorio, composto da una infinità di queste strisce, non ha nulla a che vedere con una vera fetta di carne.
Per riuscire a costruire una bella bistecca, occorrerà una evoluzione sostanziale, un procedimento più complesso, che produca anche le cellule di grasso. Per permettere l’accrescimento e la consistenza giusti, bisognerà studiare un sistema di irrorazione simile a quello sanguigno, che permetta l’accrescimento in ogni direzione, visto che oggi le strisce sono solo piatte e sottilissime. Altro fattore la cultura di crescita, che oggi è composta da un 10% di siero estratto dalla placenta bovina, dal quale vengono estratti i globuli rossi; Solo questa cultura costa oggi 230 euro al litro, e va cambiata molto frequentemente durante la crescita delle cellule.
Ma ci sono anche problemi etici e legislativi. Il solo scrupolo morale, ad esempio, ha convinto i ricercatori della Modern Meadow, guidata dal dottor Gabor Forgacs, a riprodurre la pelle anziché la carne di bovino. Il dottor Forgacs, intende invece “stampare” la sua bistecca con una stampante tridimensionale.
Già anni fa, l’idea era stata patrocinata dal gruppo animalista “Peta”, che offriva un milione di dollari per il primo hamburger di laboratorio. L’intento era quello di limitare l’allevamento e la macellazione degli animali, anche se occorrerà sempre allevare degli animali come donatori di staminali per poter iniziare il processo.
Due anni fa, studi dell’università di Oxford, hanno dimostrato l’enorme risparmio di risorse primarie (acqua, terra, energia) che si potrebbe conseguire.
L’obiettivo della carne in provetta è seguito da vari paesi oggi, e vede i Paesi Bassi e la Scandinavia in testa a tutti.
I costi sono insostenibili, ma si può sperare in un futuro senza macelli. Il mio unico problema etico è che, pur essendo vegana, sono costretta a comprare per i miei gatti alimenti a base di carne e pesce; se si potessero produrre in laboratorio mi sentirei sollevata.
C’è anche chi alimenta i propri animali domestici in modo vegetariano, con l’utilizzo di integratori (es. taurina). Sembra funzioni, anche se occorre vedere se una alimentazione così, innaturale, cosa provochi in questi piccoli amici alla lunga.
Qualcuno porta l’esempio delle tigri vegetariane dei monaci thailandesi del tempio buddista “Pa Luangta Bua”. In realtà non sono vegetariane, in quanto i monaci le nutrono con ossa di pollo finemente triturate in modo che non ricordino la carne, e mischiate a croccantini per cani. A volte viene data loro carne di manzo, ma sempre cotta. Tutto affincheé non venga percepito il sapore del sangue. Ma esistono altre realtà simili che sarebbe interessante approfondire.
C’è comunque da dire, per chi si preoccupa dell’uccisione di animali, che la maggior parte dei mangimi (umido e secco) è composta da prodotti di “scarto”, nel senso di “meno pregiati” e commercializzabili, che sarebbero comunque disponibili, a prescindere.
Altra soluzione futura potrebbe essere l’utilizzo di insetti che molti animali domestici, anche cani e gatti, occasionalmente mangiano. E’ una scelta alimentare che si scontra con tabù personali, ma che potrebbe essere comunque molto valida.
Resta un problema di scelte complesse e con aspetti difficilmemte conciliabili tra loro.
M.